Chiesa di San Giovanni Battista

Le origini della chiesa S. Giovanni Battista sono legate alle Nuove Penitenti di Accon, una comunità di monache, che agli inizi del XIII sec., fu condotta dalla Palestina a Matera dal Vescovo Andrea; infatti, nella navata destra, si può notare l’iscrizione che attesta che il Vescovo Andrea condusse Matera una comunità di claustrali, dette le penitenti di Accon.

All’inizio le monache occupavano la chiesa rupestre di S. Maria delle Virtù, poi, nel 1220, il Vescovo Andrea concesse loro la chiesa di S. Maria la Nova, una chiesa del piano abbandonata dal 1212 dai benedettini. Le religiose nel 1233 affidarono a un tal Melo Spano l’amministrazione dei loro beni per portare a termine  l’edificazione di una nuova chiesa, sullo stesso luogo della vecchia.

Tra il 1227 e il 1468 il nucleo monastico aveva continuato ad arricchire il proprio patrimonio grazie al crescente numero di lasciti effettuati dai fedeli; a conferma del sicuro benessere nel 1480, le religiose figurano tra i contribuenti del sovrano aragonese durante la guerra d’Otranto.

Dopo il 1481 le monache si trasferirono nel monastero dell’Annunziata, nei pressi della Cattedrale, e la chiesa subì un processo involutivo rimanendo abbandonata per quasi due secoli; tra i motivi dell’abbandono ci sono sicuramente l’inadeguatezza e la localizzazione in posizione isolata fuori dalle mura cittadine. Da questo momento in poi il toponimo S. Maria La Nova servirà come riferimento topografico per indicare una zona della città.

La chiesa parrocchiale di S. Giovanni Vecchio, ubicata nel Sasso Barisano, era umida e poco agevole, di qui la necessità di trasferirla altrove. Così, Mons. Antonio Del Ryos Y Culminarez, Arcivescovo di Matera, con Bolla del 5 agosto 1695, soppresse l’antica chiesa parrocchiale di S. Giovanni Vecchio ed ordinò che detta parrocchia venisse trasferita in S. Maria delle Nove. Allora la chiesa assunse il titolo di S. Giovanni Battista, ed è stata per lungo tempo Colleggiata con Capitolo ed il parroco aveva il titolo di Abate.

Nel 1735 l’Abate annuncia l’intenzione di costruire il cappellone del Santissimo Sacramento all’interno della chiesa. Alla fine del 700, fu attuato un intervento conservativo per restituire staticità alle strutture portanti, che portò alla sostituzione di alcuni elementi architettonici originari.

Successivamente la chiesa subì altre trasformazioni: la costruzione della canonica occupò l’intera parete di una piccola abside e determinò la chiusura di alcune finestre strombate; all’interno i motivi decorativi e i capitelli e i muri furono ricoperti da uno strato di intonaco; una cantoria, che occupava buona parte del transetto, fu collocata al di sopra dell’attuale ingresso; un pulpito fu addossato ad un pilastro.

Agli inizi del XX sec. il pittore materano Rocco Carlucci dipinse la cavità inferiore dell’abside mediana. Nell’aprile 1926, Mons. Marcello Morelli, avviò i lavori per restituire l’antico splendore alla chiesa: furono eliminati gli intonaci; le finestre, che erano state allargate, furono riportate alla struttura originaria; gli altari della Pietà e di S. Giovanni furono collocati nelle absidi minori e l’altare di S. Giuseppe fu collocato vicino l’ingresso; il pulpito e la contoria furono eliminate.

Gli aspetti architettonici del 200 sono prevalenti ed esaltano lo stile romanico pugliese, che accolse le componenti dell’arte romanica in Italia settentrionale, fondendole con le forme dell’arte bizantina ed orientale, diffuse dai crociati provenienti dalla Terra Santa.

Nel 1726 l’adiacente convento venne adibito ad ospedale laico di S. Rocco gestito dai padri Ospitalieri di S. Giovanni di Dio, e ad essi venne affidata la gestione delle entrate e la cura dei malati e dei pellegrini. Nel 1749 le carceri della Regia Udienza, a causa dell’aumento di detenuti, in cerca di luoghi più capaci per accoglierli, trasferiscono una buona parte di essi all’interno dell’ospedale. In questo periodo fu chiuso il passaggio di comunicazione tra la chiesa e l’ospedale, e venne inserito nel vano risultante un altare.

Pianta

Lo schema planimetrico è basilicale a tre navate, con pianta a croce greca; le navate laterali sono separate da quella centrale da 4 pilastri quadrilobati (a pianta quadrata con quattro semicolonne addossate) per lato. Ciascuna navata è conclusa da un abside, non estradossato(la concavità non visibile all’esterno rientra nella tipologia dell’architettura orientale). Le absidi laterali sono di uguali dimensione, quella centrale, più ampia, è ricca di motivi decorativi a rilievo e di una serie di archetti congiunti nella parte bassa.

Interni

La navata centrale e il transetto sono notevolmente più alte di quelle laterali. Le navate laterali comunicano con quella centrale mediante archi a sesto acuto; la copertura è costituita da volte a vela composte (furono costruite tra il 1792-93) nella navata centrale, da volte a crociera costolonate e con chiave decorata nelle navate laterali a destra del transetto e da volte a crociera semplice a sinistra del transetto. Probabilmente la copertura originaria della navata centrale era costituita da volte a crociera, come si può supporre dalla presenza dei pilastri cruciformi; altri studiosi hanno supposto che fosse una volta a botte a sesto acuto. Invece il transetto probabilmente era coperto con tre cupolette.

Le navate conservano intatte sia la struttura architettonica che l’apparato decorativo; di matrice romanica è la cornice a triplice rilievo che attraversa la navata centrale e il transetto.

I capitelli rappresentano un fedele documento della religiosità medievale ed hanno un tema comune: la condizione dell’uomo, ormai libero dal terrore della fine del mondo e pronto ad accogliere Dio senza trascurare gli aspetti della natura umana e della convivenza sociale. I motivi vegetali ebbero grande fortuna nella scultura medievale: il tema vegetale riproponeva l’ebbrezza della primavera  e la gioia della Pasqua, attraverso la natura si giungeva a Dio, e per questo le chiese si arricchirono di questi motivi. Le palme (simbolo di vittoria e trionfo) sono il tema più rappresentato, ma non mancano foglie di acanto e di quercia; il loro aspetto varia da capitello a capitello: assumono una posizione statica o sono piegate come mosse dal vento. Numerosi sono anche i capitelli con le pigne e frutti pomacei (simbolo di carità). Le figure umane e zoomorfe sono meno numerose: le sculture di alcuni capitelli riproducono soggetti simili, infatti si riscontrano i capitelli delle tre colombe, delle tre donne e dei tre fanciulli (il tre è il numero delle perfezione). Altri capitelli hanno uno sviluppo narrativo più ampio: ad esempio c’è una figura umana dal volto sereno e dai tratti senili, che con sguardo compiaciuto stringe la barba con la mano, rappresenta la saggezza che si acquista con la vecchiaia. Una altro capitello rappresenta due lupi insidiati da un aspide: la saggezza che viene minacciata dal male. Un altro capitello rappresenta i grifi che beccano una valva, che contiene una foglia: i grifi rappresentano i bassi impulsi e le passioni dell’uomo, la foglia rappresenta l’animo umano. Difficile è l’interpretazione del capitello grottesco, forse aveva valore apotropaico, cioè allontanava gli influssi malefici.

 

Prospetti

La decorazione della pareti esterne non ci è pervenuta del tutto integra a causa degli interventi di consolidamento di fine ‘700, che interessarono sia la facciata sulla piazza che quella opposta, che fu rafforzata dalla costruzione della cappella dei SS. Medici. Le uniche forme intatte sono il prospetto absidale e il portale.

Il prospetto absidale presenta nelle due ali laterali un motivo a lesene, poggianti sullo zoccolo e sovrastate da archi ciechi salienti secondo la linea di pendenza degli spioventi. Sul lato destro, segno di interventi successivi, si manifesta l’apertura di un balcone.

La zona centrale ospita una monofora contornata da due cornici decorate l’una da foglie di acanto, l’altra da girali; queste sono sormontate da un archivolto, dal decoro floreale, sorretto a sua volta da due colonnine con capitelli; un timpano mistilineo conclude la monofora. Sopra di essa c’è un ampio fornice praticabile (facente parte di un percorso in quota), fiancheggiato da due elefanti barrenti poggiati su mensole. Ai lati di esso ci sono due coppie di archetti ciechi sorretti da peducci a foglie di acanto.

Due monofore più piccole, simmetriche rispetto all’asse della facciata, in aderenza con due lesene, illuminano le absidi laterali.

L’ingresso principale, collocato originariamente sulla parete opposta all’abside, nel 1610 fu spostato nella posizione attuale per consentire la costruzione del nuovo ospedale addossato alla chiesa.

Il portale è strombato; ha una lunetta sostenuta da un architrave che reca una fascia con una serie di testine femminili isoformi e un’altra fascia con tre corolle di fiori; è opera dei maestri Michele Del Giudice e di Marco Di Lauria. L’archivolto esterno, che circonda il varco, è animato da una ghirlanda di foglie intagliate con apice ricurvo e frutti penduli sorretta da due mostri alati, ora acefali. L’archivolto più interno, a fogliami e retto da colonnine con capitelli.

La parete sovrastante il portale, corrispondente al transetto, è conclusa con un timpano mistilineo e include un rosone, non integro, dalla ghiera minutamente incisa a motivi fitomorfi. Il rosone è attorniato da un arcone sostenuto da colonnine sovrapposte e animali stilofori, e sovrasta la nicchia 700esca con il Santo. Il portale e il baldacchino sono gli unici elementi in facciata di stile romanico.

Alla destra del portale è collocato il 700esco campanile a vela.

Decorazioni

Sul primo altare della navata di sinistra, racchiuso da eleganti sculture, forse opera di Altobello Persio o della sua bottega, troviamo l’affresco del XVI di S. Maria La Nova. Poi la cappella dei Santi Cosma e Damiano, i Medici Martiri, le cui statue in legno con i sontuosi mantelli colorati di verde e rosso, nell’ultima domenica di settembre, vengono portati in processione con i caratteristici ceri votivi. Nella stessa cappella vi è un dipinto raffigurante S. Antonio Abate, S. Domenico, S. Eligio, S. Cosma, S. Biagio, S. Vincenzo che circondano la Vergine in Gloria, un’opera del 1727 del pittore materano Vito Antonio Conversi. In fondo alla navata, in una nicchia è riposta una Pietà del 1888, in cartapesta, opera del materano Pasquale Calabrese.

Nella navata di destra troviamo la scultura di Ercole Reduzzi della fonte battesimale, eseguita nel 1929 e, infine, in un’appartata nicchia, vi è la statua in tufo di San Giovanni, opera di scuola materana del 1500, in precedenza posta nell’altare maggiore.    Sulla base di una colonnina della chiesa c’è una incisione che recita: DIE 29 DEC … INTERFECTUS EST COMES. Si tratta della notizia relativa alla uccisione del Conte Tramontano avvenuta la sera del 29 dicembre 1514,  in occasione della messa del vespro.

Testo a cura di Renato Favilli, Guida Turistica